Ricordo Stampa

Con lui se ne va un pezzo di storia lecchese

«Ti conquistava con la sua sapida eloquenza,
l'arguzia maliziosa e l'ironia fulminante»

Franco Calvetti ti conquistava con la sua sapida eloquenza, l'arguzia sottile e bonariamente maliziosa, l'ironia fulminante; la sua vasta cultura umanistica, mai ostentata ma alimentata negli anni da una curiosità inesausta, gli permetteva di affrontare con padronanza estrema gli argomenti più impegnativi e di proporli all'attenzione dell'interlocutore con una semplicità didattica che è caratteristica precipua dell'uomo di cultura, scevro di impaludamenti e capace di conservare il gusto della conversazione, antica arte che sta malauguratamente andando in disuso. La Lecco vivace del dopoguerra, la Lecco che seppe risollevarsi all'indomani della tragica parentesi del conflitto e mettere in moto idee, uomini, avvenimenti, piange la scomparsa di un uomo che di quegli anni e di quella felice temperie fu un protagonista, assieme a Morlotti, Sora, Capelli, Micheli, Bartolozzi: un uomo che a questa terra schiva e aspra, fra lago e monti, portò un affetto profondo, identificandosi con la sua storia e la sua gente e amandone l'eredità culturale più intrinseca, quella del Manzoni, di cui fu appassionato cultore e attento studioso, affascinato dall'ironia manzoniana che era, a ben vedere, anche la sua.
La sua preparazione giuridica era di prim'ordine e le arringhe brillanti, convincenti; un oratore efficacissimo, capace di persuadere con la forza delle argomentazioni e di una logica stringente. Generoso con tutti, mai fece mancare il suo consiglio, specie ai colleghi più giovani che a lui ricorrevano come ad un maestro.
Nel 1947 è tra i fondatori dell'Accademia Corale di Lecco con Vincenzo Saputo, Costantino Fiocchi, Alfonso Micheli e altri ancora, quell'Accademia di cui per molti decenni sarà l'anima e il mentore, una dedizione fedele, un impegno cui solo la declinante salute lo indurrà a rinunciare negli ultimi anni, ma ne soffriva perché per lui la musica, specialmente quella polifonica dei suoi amati compositori Gesualdo, Palestrina, DI Lasso e i molti altri che gli erano familiari, rappresentava un nutrimento quotidiano, fondamentale, un godimento spirituale che lo accompagnò per tutti gli anni della sua lunga vita operosa. Se ne va con lui un pezzo importante della storia di questa nostra città, un osservatore attento, un giornalista finissimo i cui articoli sulla stampa locale, sempre eleganti e scritti in un italiano colto e fluente, avevano il dono della chiarezza, dell'annotazione sagace e la capacità di raccontare senza digressioni, di offrire al lettore un saggio di giornalismo intelligente, ricco di spunti e di riflessioni.
Così voglio ricordare Franco Calvetti, riandando con la memoria alle nostre conversazioni nel suo studio o, in questi ultimi anni, nell'albergo di Cassina in cui trascorreva il periodo più caldo dell'estate: quel suo parlare vorticoso toccando i più disparati argomenti che si intercciavano gli uni agli altri quasi ingarbugliandosifinché poi, miracolosamente, ciascuno veniva ripreso, sviluppato e condotto a termine lasciandoti ammirato, conquistato da tanta sapiente facondia.
Mi piace pensare che un coro angelico lo avrà accompagnato nell'ultimo viaggio, cantando un brano polifonico,forse quello splendido "Ecce venio ad Te, dulcissime Domine" di Giuseppe Zelioli che Franco aveva intonato infinite volte con la sua Corale.

Gianfranco Scotti

Franco Calvetti ti conquistava con la sua sapida eloquenza, l'arguzia sottile e bonariamente maliziosa, l'ironia fulminante; la sua vasta cultura umanistica, mai ostentata ma alimentata negli anni da una curiosità inesausta, gli permetteva di affrontare con padronanza estrema gli argomenti più impegnativi e di proporli all'attenzione dell'interlocutore con una semplicità didattica che è caratteristica precipua dell'uomo di cultura, scevro di impaludamenti e capace di conservare il gusto della conversazione, antica arte che sta malauguratamente andando in disuso. La Lecco vivace del dopoguerra, la Lecco che seppe risollevarsi all'indomani della tragica parentesi del conflitto e mettere in moto idee, uomini, avvenimenti, piange la scomparsa di un uomo che di quegli anni e di quella felice temperie fu un protagonista, assieme a Morlotti, Sora, Capelli, Micheli, Bartolozzi: un uomo che a questa terra schiva e aspra, fra lago e monti, portò un affetto profondo, identificandosi con la sua storia e la sua gente e amandone l'eredità culturale più intrinseca, quella del Manzoni, di cui fu appassionato cultore e attento studioso, affascinato dall'ironia manzoniana che era, a ben vedere, anche la sua.
La sua preparazione giuridica era di prim'ordine e le arringhe brillanti, convincenti; un oratore efficacissimo, capace di persuadere con la forza delle argomentazioni e di una logica stringente. Generoso con tutti, mai fece mancare il suo consiglio, specie ai colleghi più giovani che a lui ricorrevano come ad un maestro.
Nel 1947 è tra i fondatori dell'Accademia Corale di Lecco con Vincenzo Saputo, Costantino Fiocchi, Alfonso Micheli e altri ancora, quell'Accademia di cui per molti decenni sarà l'anima e il mentore, una dedizione fedele, un impegno cui solo la declinante salute lo indurrà a rinunciare negli ultimi anni, ma ne soffriva perché per lui la musica, specialmente quella polifonica dei suoi amati compositori Gesualdo, Palestrina, DI Lasso e i molti altri che gli erano familiari, rappresentava un nutrimento quotidiano, fondamentale, un godimento spirituale che lo accompagnò per tutti gli anni della sua lunga vita operosa. Se ne va con lui un pezzo importante della storia di questa nostra città, un osservatore attento, un giornalista finissimo i cui articoli sulla stampa locale, sempre eleganti e scritti in un italiano colto e fluente, avevano il dono della chiarezza, dell'annotazione sagace e la capacità di raccontare senza digressioni, di offrire al lettore un saggio di giornalismo intelligente, ricco di spunti e di riflessioni.
Così voglio ricordare Franco Calvetti, riandando con la memoria alle nostre conversazioni nel suo studio o, in questi ultimi anni, nell'albergo di Cassina in cui trascorreva il periodo più caldo dell'estate: quel suo parlare vorticoso toccando i più disparati argomenti che si intercciavano gli uni agli altri quasi ingarbugliandosifinché poi, miracolosamente, ciascuno veniva ripreso, sviluppato e condotto a termine lasciandoti ammirato, conquistato da tanta sapiente facondia.
Mi piace pensare che un coro angelico lo avrà accompagnato nell'ultimo viaggio, cantando un brano polifonico,forse quello splendido "Ecce venio ad Te, dulcissime Domine" di Giuseppe Zelioli che Franco aveva intonato infinite volte con la sua Corale.

Gianfranco Scotti